A pochi mesi dall’apertura, nel firmamento turistico di Parthenope (rigorosamente con l’H in omaggio all’ultimo film di Paolo Sorrentino) brilla una nuova stella: la metropolitana Linea 6. Ne ho parlato martedì 8 ottobre 2024 sulle pagine del Corriere del Mezzogiorno.
Le sue architetture riempiono internet fra post e stories di Instagram, video su TikTok ed articoli di testate online tendenzialmente di arte. Questo perché la tratta inaugurata, 8 fermate lungo 5,5 km, va ad arricchire il noto patrimonio napoletano delle stazioni-museo che tanto hanno dato lustro a Napoli proiettandola in una dimensione turistica e culturale internazionale.
Una linea con tanta arte ma anche tanti problemi
Tuttavia, dopo più di vent’anni dalla prima fermata dell’arte (come ricorda Riccardo Marone nel suo ultimo libro, Volevamo portare il mare a Scampia, a cura della storica casa editrice Colonnese rilanciata dalla giovanissima Francesca Mazzei) si può probabilmente dire che il mezzo è stato scambiato per il fine. La Linea 6 sembra più frequentata da turisti che da pendolari: quasi un’esposizione permanente più che un’infrastruttura di trasporto. Questo per una serie di note mancanze, in primis quella di un deposito dove ospitare treni sufficienti ad operare un servizio adeguato per una metropolitana. Risultato: pochi e vetusti vettori, che passano in media ogni 10-15 minuti.
A queste problematiche, purtroppo non affrontate per tempo principalmente durante la sindacatura De Magistris (che annuncia di voler tentare un ritorno a Palazzo San Giacomo), e su cui porre ora rimedio comporta tempi inevitabilmente più lunghi, se ne aggiungono altre più recenti come la mancanza di una comunicazione coordinata fra le varie aziende di trasporto. Il metrò appena inaugurato è spoglio di qualunque mappa della rete su ferro napoletana. All’interno delle stazioni ci si muove disorientati, e non solo perché storditi dalla loro bellezza. Un piccolo esempio di come manchi una visione di sistema della mobilità partenopea, eternamente divisa fra aziende di competenza regionale (EAV, AIR, in parte Trenitalia) e comunale (ANM) a cui si aggiungerà Busitalia, recente vincitrice del bando per i bus in provincia.
La mancanza di una visione di sistema
Se le aziende – e le istituzioni che le guidano – non riescono neanche a mettersi d’accordo su una cartina che abbia nomi e colori delle linee uguali indipendentemente da dove ci si trovi, come avviene in qualunque città del mondo, sarebbe opportuno creare una cabina di regia. In teoria, già esisterebbero l’agenzia campana per la mobilità (ACAMIR) e il Consorzio Unico. A quanto pare non sono sufficienti per spingere ad adottare una visione unica su questi temi. Serve quindi una nuova agenzia dedicata alla sola provincia di Napoli, un ente terzo che abbia il compito di programmare, regolare e controllare il trasporto pubblico locale ed i relativi standard qualitativi, sul modello di altre esperienze in Italia.
Con un mediatore fra le parti forse si eviterebbero casi kafkiani come l’incapacità di tenere aperto perfino un semplice corridoio di collegamento fra Linea 6 ANM, Cumana EAV e Linea 2 di Trenitalia nelle fermate Mostra e Mergellina, tanta è la frammentazione operativa e la mancanza di visione di sistema. Sul tema però influisce anche un’altra questione, stavolta di portata nazionale: la carenza di personale.
Carenza di autisti e macchinisti: un problema nazionale
In tutta Italia mancano migliaia di autisti, addetti di stazione, macchinisti dei treni. Quelli di recente assunti da ANM o EAV sono stati “scippati” alle aziende del nord, in particolare a Milano. A loro volta, ATAC, ATM e altre attraggono autisti dal settore privato della media-lunga percorrenza su gomma. Insomma, la coperta è corta, e il bacino di lavoratori sempre lo stesso. Con il paradosso di un Meridione con il tasso di disoccupazione al 14% dove non si riesce ad incrociare domanda e offerta per posti stabili e sicuri, come sono quelli nel trasporto pubblico. Anche per questo la Linea 6 funziona a mezzo servizio, fermando alle ore 15:00 le corse: non c’è chi può tenere aperte le fermate o far circolare i treni.
In questo senso, potrebbe essere utile un fronte comune dei maggiori operatori per spingere il Governo ad adottare politiche attive del lavoro. Sul punto sembrano distratti i sindacati, più impegnati a scioperare alienandosi la simpatia di pendolari sempre più esasperati. Invece, questa è una battaglia di sopravvivenza per il settore su cui serve un’azione corale prima che il sistema della mobilità si blocchi definitivamente. Lasciandoci a piedi tutti.