La mattina del 1° marzo 1995, un napoletano qualunque va in ufficio. Ciro – lo chiameremo così – è del Vomero, ma lavora al Centro Direzionale. Per raggiungere l’ufficio prende la funicolare di Chiaia, poi la metropolitana Linea 2 fino a Garibaldi, e da lì una sola fermata in Circumvesuviana. Il suo itinerario è lo stesso tutti i giorni, un pendolare intra-città. Ne ho parlato mercoledì 19 marzo 2025 sulle pagine del Corriere del Mezzogiorno.
Il biglietto unico napoletano: pezzo di storia dei trasporti italiani
Quella mattina sembra uguale alle precedenti, ma vi è un particolare che sta nel palmo di una mano e che cambierà radicalmente la quotidianità del nostro amico – e di tutti noi. Infatti, da quel giorno Ciro può prendere per la prima volta i suoi abituali mezzi, gestiti da tre società diverse, con un solo tagliando: il biglietto unico, che sostituisce i precedenti (uno per azienda) che era costretto a comprare fino al giorno prima.
Nel 1995 l’antesignano di quel che oggi è conosciuto come Unico era denominato GiraNapoli, e fu una rivoluzione. L’idea era geniale quanto semplice: mettere a sistema le varie linee partenopee sia su ferro che su gomma, gestite da differenti società, per renderle più facilmente accessibili. Infatti, fino a quel momento ciascuna azienda (ANM, EAV, Trenitalia, ecc.) stabiliva le proprie tariffe ed emetteva i propri titoli di viaggio. In tal modo, chi come il nostro amico Ciro si accingeva a un viaggio su più mezzi doveva acquistare diversi biglietti, con un aumento della spesa ed una perdita di tempo notevole.
Sono passati trent’anni da quella mattina di marzo. Il biglietto unico ha fatto la storia del trasporto in Italia, arrivando ad essere indicato come una buona pratica a livello europeo nel Libro Bianco dei Trasporti della Commissione Europea nel 2001 – appena sei anni dopo il suo lancio. Ha contribuito ad un più vasto utilizzo dei mezzi pubblici in una città in cui, a differenza di altre in Italia, per muoversi da un quartiere all’altro spesso è ineludibile utilizzare più mezzi di differenti società (quel che in gergo si chiama multimodalità).
Oggi, a tre decadi di distanza, il ticket integrato è realtà nelle maggiori città italiane, anche se con un sistema leggermente diverso. Se si compra un tagliando a Roma (1,5 Euro) o a Milano (2,2 Euro) emesso dalle principali società cittadine (ATAC o ATM), questo è valido anche su tutte le tratte urbane gestite da altre enti (Trenitalia, Cotral, Trenord, ecc.). A Napoli, invece, qualche anno fa si è rovesciata la situazione. Un dietrofront politico ha reintrodotto i biglietti aziendali passando da una prospettiva che mette al centro l’utente con la sua esigenza di un trasporto facilmente accessibile, alla difesa degli interessi della singola azienda. Il biglietto unico (1,8 Euro) esiste ancora, ma in pochi lo sanno. Soprattutto chi è forestiero.
Proiettare il biglietto unico nel futuro
Così, a chi ha occhi per osservare la città sono ben note scene come file alle biglietterie automatiche nelle principali stazioni, i turisti spaesati, persone che chiedono informazioni ai sempre meno presenti tabaccai o edicole. Già, perché anche la rete di vendita in questi anni è stata depotenziata: ci si affida sempre più al cosiddetto tap-and-go, ossia il pagamento direttamente al tornello con carta di credito. Molto utile se si deve fare un solo viaggio; meno efficace se si devono fare spostamenti multimodali, che come accennato caratterizzano fortemente Napoli.
Infatti, condizione necessaria affinché i pagamenti digitali funzionino è una rete capillare di obliteratrici elettroniche su ogni mezzo (bus, tram, metropolitane, funicolari, treni suburbani). Ciò è ben lontano dall’essere una realtà. Inoltre, i pagamenti elettronici non sono inclusivi: non tutte le fasce della popolazioni li utilizzano. Altrimenti, non avremmo chi a inizio di ogni mese ritira negli uffici postali le pensioni in contanti, o non vi sarebbero file alle biglietterie delle stazioni di Roma e Milano – dove i pagamenti elettronici sono decisamente più diffusi. Evidenze empiriche certificate anche da appositi studi, come i rapporti annuali sul cashless di Ambrosetti.
Infine: se trent’anni fa il biglietto unico fu una rivoluzione anche tecnologica, oggi serve maggiore attenzione al digitale. Ogni azienda di trasporto partenopea ha una propria app con sistema di acquisto online, o un proprio modo di comunicare informazioni. Tuttavia, in un sistema frammentato servirebbe una sola app, un solo canale di informazioni ufficiali, un solo biglietto: in una parola, una sola regia politica. Sembra così semplice e di buon senso. Ma soprattutto, lo si è già fatto. Eppure…