Mercoledì 15 gennaio 2025 alla Camera dei Deputati è stato presentato il IV numero di “Parlamento Magazine”, trimestrale dell’associazione Italian Politics, con focus su trasporti e infrastrutture. Sono stati chiamati ad esprimersi diversi stakeholders del vasto mondo della mobilità, da politici a rappresentanti di federazioni ed aziende. Per conto di FlixBus ho firmato un articolo sul sistema della mobilità su gomma di media-lunga percorrenza in Italia, intervenendo anche alla presentazione (video disponibile QUI).
L’Italia che viaggia in bus: soluzioni per rafforzare la mobilità nei territori
I bus di media-lunga percorrenza a mercato sono spesso l’unica alternativa di mobilità collettiva in un Paese fatto di tanti piccoli Comuni. Tuttavia, chi usa la cosiddetta corriera è considerato un cittadino di serie B. Quattro proposte per rafforzare e rilanciare un settore cruciale dei trasporti nostrani: digitalizzazione dei processi, open data, contrasto alla carenza autisti, nuove autostazioni.
C’è un’Italia che viaggia, dimenticata. Un mosaico di tanti Comuni dove la ferrovia non arriva – figuriamoci l’alta velocità – e che sembrano non esistere per i media, l’opinione pubblica, la politica.
E’ l’Italia di chi viaggia in bus. La corriera, come si diceva un tempo. Spesso l’unica soluzione di trasporto per chi non può permettersi l’auto. Viaggi infiniti, magari di notte, dalla Sicilia, la Calabria, la Puglia, verso il nord o il resto d’Europa. Tuttavia, quelle che si potrebbero definire “periferie territoriali” sono tante e meno scontate di quanto si possa immaginare. Buona parte del centro (Umbria, Marche, Abruzzo, Molise) gravita su Roma. La Liguria e il basso Piemonte verso Milano. Il Friuli verso il Veneto e l’Emilia. Aree che si muovono in auto o in bus. Nei fatti, non c’è una terza via.
Conoscere per deliberare: il problema dei dati
Un mercato enorme di cui non si conoscono i contorni. Questo è il primo suggerimento al legislatore, cui ci rivolgiamo come FlixBus con lo spirito che contraddistingue “Parlamento Magazine”, ossia l’essere un ponte fra le esigenze della società e le scelte della politica. Manca una norma che renda obbligatorio per gli operatori (che siano bus di lunga distanza o trasporto pubblico locale) comunicare al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT) le numeriche dei passeggeri trasportati. Nell’epoca degli open data, è un paradosso che rende molto complicato quantificare i fenomeni, e dunque prendere le iniziative necessarie: la regola aurea del “conoscere per deliberare”.
FlixBus, con approccio collaborativo, quando richiesto comunica alle istituzioni i propri dati. Tanti competitor non lo fanno. Quindi per valutare in Italia il mercato delle autolinee di stampo intercity ci si deve affidare alle stime: circa 15 milioni di persone l’anno. FlixBus è il maggiore operatore: una realtà ormai globale che opera in più di 40 Paesi ed ha trasportato nel solo 2023 ben 81 milioni di passeggeri di cui 55 milioni in Europa, il resto fra Turchia e America. Le linee Flix coprono l’intero Stivale con il 40% delle fermate in Comuni al di sotto dei 20.000 abitanti, garantendo coesione territoriale e diritto alla mobilità a chi spesso non ha alternative.
Quando la concorrenza fa bene
Risultati resi possibili dall’apertura alla concorrenza previsto da normative europee. Negli ultimi anni si è passato da un regime concessorio, in cui un’azienda operava in esclusiva una determinata tratta, ad uno autorizzativo, dove qualunque operatore che rispetti una serie di requisiti può effettuare corse su una stessa relazione: il libero mercato che l’Italia ha già sperimentato con successo nell’aviazione e, primo caso al mondo, nelle ferrovie ad alta velocità.
Come diversi studi hanno dimostrato, in particolare quelli del TRASPOL (il laboratorio di politiche dei trasporti del Politecnico di Milano, diretto da Paolo Beria), la concorrenza ha fatto bene alle “corriere”: sono aumentate le corse disponibili e le fermate mentre i prezzi si sono abbassati con l’introduzione del pricing dinamico (prima prenoti, meno paghi). Concetti che possono sembrare banali e che invece, fino a poco tempo fa, erano sconosciuti per il settore dei bus.
Una problematica imminente: la mancanza di autisti
Tutto ciò rischia però di fermarsi per una serie di ragioni. La prima, drammatica nelle numeriche, è la carenza autisti. Secondo dati del MIT nel 2004 venivano rilasciate circa 28.500 patenti di tipo “D”, necessaria per guidare i bus. A vent’anni di distanza sono poco più di 5.000. Mancano i conducenti, a tutti i livelli: il trasporto pubblico locale, che opera all’interno delle città, se li contende con il privato. Un bacino di lavoratori sempre più piccolo, a cui l’emigrazione da altri Stati dell’Unione Europea non può fare da risposta, se come stima l’Unione Internazionale Trasporti Stradali (IRU) in tutta Europa mancano più di 105.000 autisti.
E’ questa un’emergenza che ancora non appare nella sua enorme portata, ma che rischia di paralizzare il settore. La politica ha il dovere di intervenire. Attualmente è previsto un bonus patenti per chi vuole conseguire i titoli abilitativi per diventare autista di camion o bus, certificazioni molto onerose. La misura si è rivelata un successo: le (esigue) risorse disponibili sono finite in meno di un giorno. La strada è dunque quella giusta. L’attuale bonus, se aumentato e rivisto in alcune sue parti, può rappresentare sia uno strumento di avviamento alla professione per i più giovani, sia una politica attiva del lavoro per chi vuole reinventarsi autista. Mestiere che certamente non è facile, ma che sulle linee a media-lunga percorrenza a mercato può portare in breve tempo a retribuzioni interessanti.
Burocrazia ed infrastrutture da rivedere, digitalizzando
Per far questo, serve snellire la burocrazia: la seconda ragione che rischia di paralizzare il settore. Oggi il processo autorizzativo è lungo, farraginoso e ancorato alla carta. Vanno stampate perfino le autorizzazioni per ogni bus: un’immagine onirica di plichi di decine di pagine che girano per il Paese. Il MIT è a corto di personale: più che una campagna di assunzioni, servirebbe digitalizzare affinché meno funzionari possano svolgere più operazioni. Se questo non avverrà, ottenere un’autorizzazione per operare una linea sarà impossibile, e rappresenterà anche una barriera all’ingresso per nuovi operatori distorcendo il concetto di concorrenza.
Infine, le autostazioni. I cassetti dei Comuni sono pieni di progetti per terminal bus, che spesso mancano anche nelle maggiori città (come Torino, Genova, Bari). Ogni anno, milioni di viaggiatori sono costretti ad aspettare esposti alle intemperie, spesso in luoghi insicuri posti alle periferie delle città. Cittadini di serie B. In un Paese che si interroga eternamente su come spendere presto e bene i fondi, basterebbero poche decine di milioni di Euro per realizzare dappertutto nuovi terminal. Sarebbe un bel segnale per un’Italia fatta di tante realtà diverse, e allo stesso tempo un facile capitale politico da conquistare.
Quattro proposte (open data, carenza autisti, digitalizzazione dei processi, nuove autostazioni) per rafforzare un settore cruciale per il diritto alla mobilità in un Paese bellissimo ma complicato, e che FlixBus vuole collegare ogni giorno, sempre di più.