Riaprire i cassetti della proposte di opere pubbliche, soprattutto nel campo della mobilità, è sempre una buona notizia: poche città come Napoli hanno un patrimonio così vasto di progetti accumulatisi nel tempo. Ciò vale anche per il piano parcheggi, elaborato ai tempi della Iervolino e poi scomparso nel porto delle nebbie del decennio De Magistris. Ne ho parlato giovedì 9 febbraio 2023 sulle pagine del Corriere del Mezzogiorno.
Un approccio pragmatico per evitare altri disagi
Rilanciare l’idea di stalli al Vomero, Fuorigrotta e Chiaia va nella direzione di un approccio non ideologico su queste opere. Il contrario di quanto avvenuto in anni recenti, con comitati di quartieri aizzati contro l’ipotesi di nuovi box auto. La stessa visione pragmatica, però, dovrebbe far porre alcune domande sul progetto di piazza Vittoria. Il traffico impazzito dei giorni scorsi per l’accavallarsi temporaneo di più lavori dimostra ancora una volta quanto sia nevralgica un’area che a breve sarà interessata da ulteriori interventi per riportare il tram fino a piazza Sannazaro, nonché dal rifacimento di via Partenope. Sullo sfondo, la sempiterna costruzione della metropolitana Linea 6 e le fragilità della galleria Vittoria, riaperta un anno fa in una conformazione “provvisoria” in attesa di sanarne deficit cronici.
E’, insomma, un quartiere che ha già pagato un prezzo alto in termini di disagi. Inoltre, nell’area vi è una discreta offerta di posti auto, grazie ad uno dei maggiori autosilo della città (il garage Morelli, aperto nel 2011) e diversi parcheggi minori gestiti da privati. Strutture dal costo particolarmente esoso: su questo tema si è acceso un faro con recenti inchieste giornalistiche. Tuttavia, proprio i prezzi alti dei locali parking, uniti alla politica di repressione della sosta vietata grazie a una nuova flotta di carri attrezzi, e con in prospettiva metrò e tram a servizio della zona, rappresentano fattori che congiuntamente vanno verso l’unica strada percorribile: scoraggiare l’utilizzo dell’auto privata.
La necessità dei giusti parcheggi e dei giusti progetti
Scelta che si associa alla recentemente espressa volontà da parte dell’amministrazione comunale di limitare le manifestazioni fieristiche sul lungomare, che paralizzano il traffico portando benefici a pochi e disagi a tutti. La direzione tracciata sembra dunque chiara: in questo contesto, aprire un cantiere per nuovi posti auto fa domandare invece quale visione di città si intenda portare avanti. Nei cassetti di cui sopra, infatti, si trovano diverse proposte di parking cui si potrebbe dare priorità: ad esempio, l’interessante progetto delle cave della Sanità da destinare alla sosta e servite direttamente da rampe della Tangenziale, avanzato dall’ex Presidente della III Municipalità Ivo Poggiani. Oppure gli stalli nella zona di via De Bustis (Antignano), che permetterebbero una non più rinviabile riqualificazione di un’area del Vomero che versa in condizioni indegne e di dubbia legalità. Infine, la cintura dei parcheggi d’interscambio a servizio della metropolitana Linea 1 in periferia: mal segnalati, poco capienti, dovrebbero intercettare l’ingente flusso veicolare dalla provincia ma spesso risultano un’arma spuntata.
Visione di città, si diceva: la prima versione del metrò “Arco Mirelli” (che, come proposto tempo fa, sarebbe opportuno rinominare “Repubblica”) firmato da Hans Kollhoff prevedeva la creazione di un’unica, grande Villa Comunale che inglobasse i giardini di via Caracciolo, con un parcheggio sotterraneo a compensare la soppressione di viale Dohrn. La Sovrintendenza bocciò quest’idea, nessuno difese la creazione di un polmone verde sul mare che unisse trasporti su ferro e posti auto, ed anni di lavori e disagi sono passati invano. Aprire un cantiere impattante come quello di piazza Vittoria, con l’eterno rischio di intoppi burocratici e di costruzione, appare una decisione asincrona rispetto alle scelte finora fatte. I progetti vanno sì cacciati dai cassetti, ma bisogna tener conto del tempo implacabile che passa. E anche della pazienza dei cittadini, che merita di essere ripagata con decisioni non più calate dall’alto, ma discusse con la comunità.
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