Venerdì 23 ottobre 2020 sarà una data che difficilmente si dimenticherà. E’ il giorno in cui scoppia la prima vera rivolta contro le misure di contrasto al propagarsi del Coronavirus, misure che il Paese ha iniziato a intraprendere otto mesi prima. Come ogni buon osservatore della politica sa, Napoli da sempre anticipa i trend nazionali. Anche in questo caso, probabilmente non è stata da meno.
Cosa è successo nei giorni precedenti a questa escalation? Il 13 ottobre, ossia soli dieci giorni prima, il Governo ha varato nuove ed ulteriori misure per arginare il contagio. Ritenute insufficienti da alcuni Governatori, certe regioni hanno varato ordinanze più restrittive: il 20 ottobre la Campania chiude alla mobilità fra le province, il 21 Lombardia e Lazio istituiscono il primo coprifuoco dalla crisi petrolifera (1973), il 22 la Campania e il 23 la Calabria adottano una misura simile. L’obiettivo di tali misure, nella fascia oraria 23:00 – 05:00, è limitare gli assembramenti, in particolare durante il weekend.
Il preludio alla protesta
La sera di giovedì 22 ottobre, dopo aver chiuso il proprio locale, M.T. si unisce a uno spontaneo corteo di commercianti del settore della ristorazione sotto la sede della Regione Campania. Obiettivo è protestare contro il coprifuoco, che sarebbe entrato in vigore il giorno dopo. Se hai fra i 15 ed i 35 anni, e vivi a Napoli e provincia, sicuramente almeno una volta nella vita hai mangiato da M.T., che, da semplice bottegaio, oggi gestisce un piccolo impero della ristorazione con più di dieci negozi fra Napoli e Caserta (cui se ne aggiunge uno in una centralissima strada di Milano) e conta ben 46.000 follower su Facebook e 32.000 su Instagram. Una volta sotto la Regione, M.T. comincia una diretta sui social per riprendere la protesta. Significa che in quel preciso istante quasi 80.000 persone ricevono una notifica sul proprio smartphone che c’è un evento live in atto. E’ tardi, cosa avrà mai da dire M.T. a quest’ora di tanto importante dal fare una diretta? Incuriositi, si apre lo smartphone, e ci si connette. Si sentono i manifestanti parlare, i toni sono tutt’altro che concilianti. Qualcuno parla di dittatura, evocando spettri del passato. M.T. non è l’unico esponente di peso del by night napoletano presente. Verosimilmente, come lui in tanti avranno veicolato i messaggi di quella protesta che, ripeto, avveniva giovedì 22 ottobre sotto al palazzo della Regione Campania, nella centralissima via Santa Lucia.
Venerdì 23 ottobre, alle ore 14:00, il Presidente della Regione Campania annuncia un nuovo lockdown. Neanche il tempo di verificare l’entrata in vigore del coprifuoco che già si annunciano nuove e più draconiane misure, in anticipo rispetto al resto del Paese, e che rappresentano l’armageddon per i liberi professionisti, per chi si è indebitato per portare avanti la propria attività, per tutto il mondo che non gode di uno stipendio fisso. La diretta Facebook del Governatore è ovviamente seguitissima: sul solo canale ufficiale di De Luca sono in 200.000 a seguire la conferenza, ma il video sarà visto nel complesso da 2,3 milioni di persone, condiviso 9.200 volte, riceverà 240.000 commenti. Per comparazione, l’ultimo spot elettorale dell’uomo più potente del mondo, ossia il Presidente uscente degli Stati Uniti, Donald Trump, che fra dieci giorni si gioca la riconferma in una delle più importanti elezioni della storia della politica moderna, è stato visto da meno di 3 milioni di persone. Questa era l’attesa che montava attorno alle misure che si stavano per preannunciare in Campania.
Lockdown o no?
La diretta è lunga e drammatica. Per più di un’ora il Governatore parla, i toni sono duri. La preoccupazione è palpabile, e, numeri alla mano, più che giustificata. Tuttavia, contrariamente a quanto ci si aspettasse, non vengono annunciate misure, ma si rimanda a un confronto col Governo. Eppure, i post precedenti alla diretta parlavano chiaro: lockdown. La confusione è ovvia, e la corda, già tesa dalla sera prima (segnali a cui nessuno, a quanto pare, ha dato seguito), si spezza. Sul web è un fiorire di incitamenti. L.D. è una specie di artista, diciamo così: sconosciuto ai più, conta però 100.000 follower solo su Instagram, canale preferito dai più giovani. Incita alla rivolta, parla di regime come quello rovesciato nel 1943 durante le Quattro Giornate. Come lui, centinaia di individui senza un vero “peso elettorale”, che ai radar della politica classica sfuggono, ma che muovono decine di altre persone. Del resto, ciò che non si aspetta, non si nota. La sera del 23 ottobre, succede quel che tutto il mondo ha visto, con la notte partenopea che s’incendia.
Un’immagine della protesta a Napoli la sera di venerdì 23 ottobre 2020
Davanti alla diretta di questi scontri, in uno studio televisivo il Sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, osserva sornione. E’ da giorni che pubblicamente critica l’operato della Regione, di quel Vincenzo De Luca suo acerrimo nemico riconfermato solo un mese prima con il 70% dei voti. In diretta TV, a un certo punto, gli viene fatto notare che forse dovrebbe tornare nella sua città, invece di star seduto a fare il commentatore. La risposta è confusa, ma è chiaro un certo compiacimento. Del resto, mentre Napoli brucia, De Magistris incassa la sua prima vittoria politica da mesi, ma come ogni successo che si basa sul classico “io l’avevo detto”, è una vittoria di Pirro, perché mette in difficoltà in primis chi dovrà raccogliere il testimone di una stagione politica lunga dieci anni, in cui la piccola economia partenopea è radicalmente mutata.
Il Sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, visibilmente compiaciuto, osserva gli scontri in diretta TV ospite su Rai 3 la sera di venerdi 23 ottobre 2020
La piccola economia di Napoli è cambiata
Infatti, Napoli in questi anni ha cambiato pelle. E’ cambiata l’economia, sia quella limpida che quella oscura del riciclo di denari. L’esplosione del turismo e del by night ha soppiantato molte botteghe di un tempo, ha cambiato il volto di interi quartieri, spesso suscitando le proteste (giuste) di chi invoca più vivibilità, ma portando al contempo vita e movimento in zone che fino ad un recente passato erano considerate invivibili e pericolose: i Quartieri Spagnoli sono un esempio lampante di questa gentrificazione in salsa partenopea.
Che piaccia o meno, è questo un fenomeno che esiste, e che ha rappresentato una chance per tanti ragazzi di restare nella propria città, e di investire in attività che producono valore sul territorio. Di contro, è stata anche un’occasione d’oro per chi aveva capitali sporchi da investire, con la vorticosa chiusura e apertura di tanti locali. In piazza c’era la camorra, dicono alcune testate, ed appare più che plausibile: c’è sempre la camorra quando ci sono i propri affari in ballo. C’era però anche chi camorrista non è, ma porta avanti un’ideologia camorristica dello sfruttamento, del nero, perché il mondo del by night e della ristorazione si può prestare a zone grigie: quanti sono quelli che offrono contratti di lavoro decenti ai propri dipendenti, e che rispettano tutte le norme? Chi le fa controllare, poi, queste norme, in un Comune che non riesce a riscuotere neanche le multe per divieto di sosta?
Infine, fra la folla, come numerosi racconti testimoniano, c’erano tanti ragazzi perbene, semplicemente preoccupati del loro futuro, quelli che hanno scelto di investire nella propria città, e che magari aspettano aiuti economici da tempo, e che nel mentre, anche con riluttanza, hanno contratto debiti per far andare avanti un’attività. Esemplificativo di ciò è una registrazione che gira sui social: un ragazzo perbene, a volto scoperto, fra la folla della protesta dice che non sono da giustificare i violenti che hanno sporcato la manifestazione. Mentre lo dichiara a favor di camera, arriva un tizio con cappuccio e volto coperto che lo spintona, dicendo “O scè, vatti a fare una cagata. ‘Sti quattro scemi”.
Le anime di una città sempre più povera
Queste sono le anime di una città spaventata, che da dieci anni ha visto il suo solo veicolo di riscatto nello sfruttamento di un business volatile, che si presta ad ampie zone grigie. Le varie anime, purtroppo, si sono saldate in un unico momento finito con esecrabili violenze, a cui si aggiunge un immenso “mondo di mezzo”, veicolato coi social alla velocità della luce. Fenomeni nuovi da capire, e sui quali vanno tarati nuovamente i radar della politica, per sentire la pancia di una città che è cambiata e non risponde più alle categorizzazioni da anni ’90 (la camorra, i fascisti, i centri sociali) nella quale si cerca di incasellare forzatamente quanto avvenuto la sera di venerdì 23 ottobre.
Il lockdown, che sia nazionale o locale, è dietro l’angolo. Non è più il momento di parlare di quel che si poteva fare e non si è fatto, ormai è tardi. Una cosa è certa: non si reinventa il sistema sanitario e di prevenzione di un Paese in quattro mesi, non si trovano bus e treni per potenziare il trasporto pubblico in 120 giorni, non si ripensa la scuola abbandonata da trent’anni nel giro di un’estate. Detto ciò, parliamoci chiaro: la realtà sociale della terza città d’Italia, dove il 41% della popolazione è a rischio povertà secondo l’ultimo rapporto Eurostat (record europeo, in cui la media continentale è del 16%), con il PIL pro-capite più basso d’Italia dopo Calabria e Sicilia (ma con decisamente più abitanti), è estremamente complessa.
Tempo di unità, non di divisione. Di chiarezza, non di confusione
Paragonare gli scontri con la parallela tranquillità a Roma e Milano è fuorviante, ridurre la cosa a pochi facinorosi guidati dalla camorra e dai fascisti è riduttivo. La città si muove per canali nuovi quanto poco tracciabili, e l’ultima cosa da fare è trasmettere insicurezza. Le normative sono cervellotiche, i divieti confusionari. Le forze di polizia che li devono far applicare sono verosimilmente esauste di inseguire direttive contraddittorie, che non fanno in tempo a dispiegare i propri effetti che subito vengono cambiate. In questo caos, attenzione: come dieci anni fa dalle rivolte contro le discariche sono emersi leader che ora siedono nelle fila del consiglio regionale dopo aver scalato pezzo dopo pezzo le istituzioni, un domani potremmo trovarci sugli stessi scranni i capipopolo di oggi.
Del resto, il virus si muove a una velocità che nessuno si aspettava, ma parimenti veloce ha dimostrato di essere la protesta. E’ ora di rassicurare e non spaventare, di unirsi e non dividere. Non importa chi sia a comandare, non importa se a Roma, Napoli o Salerno. Per favore, parlatevi, trasmettete meno segnali ma chiari, e soprattutto ricordate di dare idealmente ed economicamente a tutti una carezza che non nasconda un pugno. Altrimenti, il pugno si rischia che venga restituito, perché marzo e aprile sono passati, i balconi sono chiusi, le canzoni sono finite, e i capipopolo sono pronti a farsi strada, come già avvenuto in passato.