Appunti tra futuro e passato per il nuovo Assessore Comunale alla Mobilità

Lo scorso martedì 12 novembre 2019 il Sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, ha presentato la nuova giunta comunale. Si tratta del decimo rimpasto in otto anni di governo della città, con l’alternanza di ben 33 assessori. Entrano in squadra molti giovani, perlopiù provenienti dalle fila dello stesso consiglio comunale, ed escono volti ormai storici della politica (intesa come gestione della polis) partenopea. A meno di due anni dalle elezioni comunali, e a pochi mesi da quelle regionali, si chiude indubbiamente un ciclo, anche per quanto riguarda la gestione della mobilità cittadina.

Pochi giorni prima dell’annunciata rivoluzione, si era dimesso Mario Calabrese, Assessore alle Infrastrutture ed i Trasporti per ben sei anni, e cattedratico afferente al Dipartimento di Ingegneria civile, edile e ambientale dell’Università “Federico II”. Al suo posto, subentrano in due, per un processo di divisione delle deleghe: al Vicesindaco Enrico Panini andranno le competenze su trasporto pubblico e viabilità, mentre ad occuparsi delle infrastrutture, di parcheggi e strade sarà Alessandra Clemente, altro volto storico della sindacatura de Magistris, e già responsabile della polizia municipale, “braccio armato” nella gestione della mobilità cittadina.

Tale cambio avviene in un momento drammatico per i trasporti napoletani: per la prima volta da quando è stata inaugurata nel 1972, la tangenziale, unico asse autostradale urbano a pagamento d’Italia, ha visto il restringimento improvviso e non graduale di diverse carreggiate, a causa di potenziali problemi strutturali riscontrati nei controlli dei viadotti. Ancora fresche sono le memorie della tragedia del ponte Morandi di Genova: la prudenza, dunque, è d’obbligo. La riduzione di capacità della tangenziale ha comportato il congestionamento del già precario sistema viario di competenza comunale: del resto, con un sistema di trasporto pubblico largamente deficitario, l’automobile rappresenta ancora oggi la scelta di mobilità preferita dai napoletani. Le reazioni scomposte della giunta e del consiglio davanti a questa improvvisa chiusura tradiscono, evidentemente, la non eccellente qualità dei rapporti fra il Comune e la società di gestione. Uno scenario non difficile da immaginare, dopo anni di scontri attorno la proposta di rendere gratuita la tangenziale: un argomento sicuramente d’effetto e di facile presa sulla cittadinanza, ma, come ben sa qualunque tecnico, impraticabile a livello legale.

Il “caso tangenziale” rappresenta la ciliegina sulla torta di anni difficilissimi. Andando in ordine sparso, e senza la pretesa di essere esaustivi, il primo caso che viene in mente è l’infinito cantiere di via Marina, che rappresenta una vera e propria odissea quotidiana per migliaia di napoletani: aperto nell’ottobre 2015, doveva durare sei mesi. A più di quattro anni di distanza, è ancora lungi dall’essere completato. Non se la passano meglio le tre gallerie storiche, in particolare quella della Vittoria: nel 2015, i cedimenti delle facciate esterne comportarono l’installazione di ponteggi, che fra l’altro impediscono l’utilizzo della linea aerea del tram, bloccandone così la circolazione. Anche in questo caso, dopo quattro anni nulla si è mosso, arrivando alla paradossale situazione della ventilata volontà del Comune di acquistare i ponteggi stessi pur di non pagarne il fitto, in luogo di effettuare i lavori. Nel 2017, viene chiusa la galleria Laziale, provocando un così repentino collasso della mobilità urbana da provocare un duro confrontoregistrato di nascosto, fra il presidente della Commissione Mobilità del Consiglio Comunale, Nino Simeone, e l’allora Assessore Calabrese. L’episodio, passato in cavalleria, è in realtà spia di un rapporto mai sereno in questi anni fra giunta e consiglio sui temi trasportistici, che con tutta probabilità ha reso più complessa l’azione amministrativa. La galleria viene riaperta in tempi quasi da record grazie all’intervento straordinario di Rete Ferroviaria Italiana (RFI), azienda competente sui lavori in quanto sopra di essa è presente il fascio di binari della stazione Mergellina. Assieme alla sua gemella, il traforo delle Quattro Giornate, versa oggi in condizioni ben lontane dalla decenza.

Tuttavia, è la tenuta della rete stradale nel suo complesso a preoccupare: gli assi viari sono funestati da buche ed avvallamenti, che causano migliaia di incidenti l’anno, con le conseguenti esternalità negative di persone ferite e cause risarcitorie fra cittadini e Comune (stimate in circa 10.000). Per fronteggiare questo “bollettino di guerra”, l’assessorato competente ha creato il Pronto Intervento Strade (PIS), che ha realizzato migliaia di interventi per tamponare le situazioni più critiche, ed ha ripavimentato diverse centinaia di km di strade. Uno dei pochi assi viari già in ottime condizioni è invece il lungomare, ormai interamente pedonalizzato, ma diviso idealmente in due, con un tratto vivo ed apprezzato (via Partenope), ormai “luogo cartolina” per eccellenza di Napoli, che fa da contraltare ad una distesa di cemento ancor oggi deserta larga parte dell’anno (via Caracciolo), riempita artificialmente quanto saltuariamente con fiere di ogni genere, che comportano un aggravio della mobilità sulla riviera di Chiaia. Il vicino cantiere della metropolitana Linea 6 offriva la possibilità di ripensare interamente l’area a livello urbanistico: sarebbe servito un atto di coraggio (come raccontiamo qui), invece si è trasformata in un’occasione sprecata. L’unica novità urbanistica presente sul lungomare, in quasi 8 anni di pedonalizzazione, è la pista ciclabile: peccato che il servizio di bike sharing, introdotto da Clean Nap con discreti risultati, sia poi cessato nel 2015, lasciando diverse postazioni inutilizzate e tante biciclette bianche beffardamente impresse sui marciapiedi, a voler rappresentare una rete ciclabile mai davvero realizzata.

La mobilità sostenibile non ha certamente goduto dello smantellamento del biglietto Unico, deciso nel 2015 dalla giunta regionale, ormai uscente, di Stefano Caldoro. Un regalo avvelenato della destra, il colpo mortale all’idea di interscambio fra diverse modalità di trasporti gestiti da differenti attori. Il biglietto unico andava difeso, banalmente perché rendeva la vita dei cittadini più semplice, e dunque invogliava all’utilizzo del mezzo pubblico (ne abbiamo parlato qui): invece, da Palazzo San Giacomo non si alzò neanche un sospiro, come non si alza ogni qual volta che si evidenzia da più parti la carenza della rete di vendita dei tagliandi, fenomeno che spinge ad un’evasione tariffaria ancora altissima. Ricordiamo poi il piano parcheggi, ereditato dalla giunta Iervolino, sul quale le ambiguità del Comune espongono ad eventuali richieste di indennizzo delle società costruttrici, e sono motivo di tensioni con parte della cittadinanza, come nel caso dei lavori sospesi in piazza Leonardo o gli scontri con gli esponenti del mercatino comunale di Antignano. Riscontrano invece unanime consenso i lavori di potenziamento dell’aeroporto di Capodichino, gestito dalla GESAC, che macina utili da anni. Nel 2018, il Comune di Napoli decide tuttavia di vendere le sue quote societarie, per una cifra nel complesso esigua: circa 35 milioni di Euro. Un’operazione che, a conti fatti, diminuisce il potere decisionale della città sulle scelte di gestione dello scalo.

Vera trappola per la mobilità sono poi gli infiniti cantieri della metropolitana, il cui ultimo prolungamento è del 2013, ben sei anni fa. Le stazioni Municipio e Duomo sono ancora un cantiere aperto, portato avanti con impegno e costanza, ma anche con discutibile lentezza. Nel 2012, la giunta de Magistris approva una variante di linea, che prevede la soppressione della stazione Santa Maria del Pianto e del relativo terminal bus che, grazie ad un collegamento diretto alla tangenziale, avrebbe decongestionato l’attuale terminal di corso Lucci ed accorciato sensibilmente i tempi di percorrenza delle linee su gomma, consentendo la creazione di un polo d’interscambio multimodale. In quasi quarant’anni di storia della metropolitana, de Magistris è l’unico Sindaco a prevedere un taglio, e non un ampliamento, del progetto della Linea 1. Inoltre, le costruende stazioni di Tribunale, Poggioreale, Capodichino e (in parte) Centro Direzionale, vengono ridisegnate “al risparmio”, con conseguente taglio degli interventi urbanistici ad esse collegate. Tuttavia, negli anni la Linea 1 ha rappresentato un elemento di coesione sociale della città, attraverso operazioni di riqualificazione urbana dei quartieri toccati dalle stazioni: tagliare le opere accessorie significa depotenziare tale disegno. La scelta del 2012 era dettata dal clima in Regione Campania, allora governata dalla destra, e venne presentata come l’unico modo per salvare la metropolitana. Non vi è ragione di credere il contrario, anche considerando l’impegno profuso dal Comune per portare a termine l’opera. Al contempo, è lecito chiedersi se, con la vittoria del centrosinistra nel 2015 ed il cambio della guardia a Palazzo Santa Lucia, ci sia stata la volontà di porre il tema all’attenzione della nuova Regione a guida De Luca.

Il tema “cantieri della metropolitana” merita un capitolo dedicato alla costruenda Linea 6: lungi dall’essere terminata, nonostante le pressioni della Commissione Europea (che contribuisce in larga parte al suo finanziamento, e che regolarmente effettua sopralluoghi nei cantieri), è stata al centro di discussioni surreali: come non ricordare nel 2018 la fake news delle gallerie troppo piccole per ospitare i treni (che abbiamo chiarito qui), o la querelle nata per pochi metri quadri di grate per gli impianti di aereazione da posizionare in piazza del Plebiscito, con scontri fra Comune, Ministero dei Beni Culturali e associazioni cittadine. Entrambi i casi dimostrano una difficoltà dell’ente Comune nel dialogo con la cittadinanza e le altre istituzioni. Eppure, le infrastrutture vanno spiegate, e con esse le difficoltà che i cittadini sono costretti a vivere quotidianamente in attesa che queste vengano completate. Nel mentre, le quattro stazioni già realizzate sono chiuse da anni ed attanagliate dal degrado, come un drammatico reportage de La Repubblica del 2018 ha mostrato: serviranno milioni di Euro per farle tornare alla normalità. Come se non bastasse, per arrivare al funzionamento ottimale della linea servirebbero strutture, quali il deposito treni, attualmente neanche cantierizzate. Resta invece una grande incognita il fondamentale prolungamento verso Bagnoli, che rappresenterebbe l’unico asse di trasporto pesante a servizio della rigenerazione urbana dell’area ex-Italsider. Approvato dal Comune a guida Iervolino nel 2009, se ne sono perse le tracce nelle infinite discussioni fra Comune, Regione, Invitalia e Commissariato di Governo, mentre Bagnoli resta ancora, per dirla alla Pino Daniele, una “carta sporca”.

In questo difficile panorama, si inserisce la nota crisi dell’ANM, che ha visto il cambio di ben tre amministratori unici in tre anni. L’azienda comunale dei trasporti, ristrutturata profondamente negli anni ’90, presentava nel 2011 un’uscita media di bus di quasi 500 bus/giorno. Oggi, tale dato è crollato a circa 300, cui si somma il restare al palo per anni (e solo recentemente sbloccato) del progetto di potenziamento della rete di filobus, con 55 mezzi a disposizione per una rete largamente insufficiente a consentirne il pieno utilizzo. Stessa problematica riguarda i circa 40 tram, di cui 22 Sirio di nuova concezione, rimasti per anni nei depositi in attesa di un ripristino della rete tramviaria ancora là da venire, e che comunque sarà parziale. Napoli quindi vive il paradosso di avere più tram e filobus di quanto le sue infrastrutture ne possano garantire l’utilizzo, a fronte invece di una scarsità drammatica di bus e, soprattutto, di treni della metropolitana Linea 1, che è ormai famosa, oltre che per le sue stazioni dell’arte, anche per le settimanali interruzioni del servizio nel tratto Dante-Garibaldi. A peggiorare la qualità del servizio della Linea 1 vi è anche l’incapacità di attivare un sistema di avvisi ai viaggiatori all’altezza del XXI secolo, quando perfino la minuscola metropolitana di Genova (appena 7 km) fa meglio. Non giova poi il depotenziamento delle seconde uscite delle stazioni (pensate per attirare più passeggeri, ma spesso chiuse), nonché il peggioramento lento ma costante della manutenzione degli impianti, messo in luce anche di recente con il caso della pulizia delle gallerie, sul quale la UIL ha indetto uno sciopero cittadino del settore trasporti per il prossimo 29 novembre. Anche le funicolari, un tempo note per spaccare il minuto, presentano crescenti turbative delle corse, in particolare negli impianti di Chiaia e Mergellina. Ogni giorno, la pagina Facebook di ANM, unico modo per accedere ad informazioni in tempo reale, assomiglia più a dei cahiers de doléances che ad una schermata di un social network.

Nel 2012, ANM elaborò un piano di riequilibrio del servizio, realista ed allo stesso tempo ambizioso: rimase lettera morta, e non è ancora chiaro il perché. La crisi del 2017, con l’azienda sull’orlo del fallimento, fu probabilmente una conseguenza di quella mancata attuazione. Tuttavia, in quei giorni difficili di due anni fa, il Comune decise di caricarsi sulle proprie spalle un coraggioso salvataggio della società, che ha visto proprio in questi giorni il parere favorevole del Tribunale Fallimentare al concordato preventivo, con relativo assenso da parte dei creditori, per circa 180 milioni. Un atto estremamente meritorio, frutto di un lavoro immenso dello staff ANM, e che mette in sicurezza la controllata comunale dei trasporti, le cui prospettive andranno sicuramente a migliorare. I primi frutti in questi anni si sono già visti, con l’acquisto di decine di nuovi bus, nonostante la maggior parte del parco circolante sia ancora obsoleta. Un importante assist alla mobilità cittadina arriverà poi dai nuovi treni della metropolitana Linea 1, attualmente in costruzione in Spagna, i cui finanziamenti (per larga parte europei) sono rimasti bloccati per anni: anche in questo caso, recuperare i fondi ed impostare la gara (particolarmente complessa a livello tecnico) è stata un’operazione amministrativa non banale.

Messi in fila, appare chiaro come gli ultimi anni siano stati estremamente complessi. Tuttavia, quel che più è venuto a mancare è stato un afflato programmatorio, che faccia alzare lo sguardo ed immaginare la Napoli del domani: il futuro è stato troppo spesso sacrificato sull’altare di una difficilissima quotidianità. L’unico documento programmatorio degno di nota, ossia il Piano Urbano della Mobilità Sostenibile (PUMS), è agli atti del Comune, ma è ben lontano dal diventare realtà, nonché dall’essere parte integrante del dibattito cittadino. Un dibattito, quello sulla mobilità, spesso asproincauto (come non ricordare la “Napoli capitale mondiale dell’efficienza dei trasporti nel 2019”, o “Napoli meglio del Giappone”) ed esacerbato da un rapporto mai sereno con la Regione Campania, che nella mobilità cittadina gioca un ruolo fondamentale, sia diretto (con le linee EAV, anch’esse estremamente problematiche) che indiretto, grazie ai finanziamenti che, giocoforza, Palazzo Santa Lucia deve versare. Lo scontro frontale, ripetuto, con la giunta De Luca, spesso per vicende politiche più che gestionali, è stato pagato a caro prezzo dai cittadini napoletani.

Leggendo le indiscrezioni stampa dei giorni scorsi, nonché la lettera d’addio dello stesso Calabrese, appare chiaro come la logorante quotidianità, assieme alla difficoltà di programmare il futuro, abbiano consumato le energie di uno stimato cattedratico: un tecnico prestato alla politica, ma più incline alle dinamiche ragionevoli del civil servant che a quelle del confronto fra parti avverse, in un clima da campagna elettorale permanente.

Non resta molto tempo all’attuale giunta prima di arrivare a naturale scadenza. Nelle urne del 2021 peserà il giudizio dei cittadini sui servizi offerti, fra cui certamente la mobilità giocherà un ruolo fondamentale. Il compito che attende Enrico Panini ed Alessandra Clemente è dunque assai arduo: il quadro sopra tracciato ben rappresenta gli anni difficili che sono stati vissuti. Invertire la tendenza non sarà facile, ma è doveroso provarci, e gli strumenti, grazie al lavoro impostato dall’assessore uscente, non mancano. Sicuramente, la situazione di ANM consente ora maggiore serenità. La ripresa dei cantieri delle linee filoviarie, nonché il parziale ripristino di quelle tramviarie, è un buon segnale, che fa il pari con l’arrivo dei treni del metrò e – si spera – di nuovi bus. Assieme all’urgenza di migliorare la quotidianità, va però immaginata la città del futuro: nell’epoca di Greta Thunberg e dei suoi scioperi per l’ambiente, il tema di una mobilità sostenibile assume un ruolo centrale, tanto più in una città complessa ed estremamente faticosa come Napoli.

Per raggiungere tale obiettivo, è di primaria importanza migliorare i rapporti istituzionali con la Regione Campania e la sua controllata, l’EAV. In tale confronto va messo al centro l’utente: dunque, è necessario stressare l’importanza di un sistema di trasporto interconnesso, che parli alla cittadinanza con una sola lingua, sia a livello di bigliettazione, con la revisione del sistema tariffario, sia a livello di comunicazione visiva, su cui ANM ha lanciato un primo esempio, con la nuova mappa integrata della mobilità su ferro, realizzata a costo zero in collaborazione con il portale di ingegneria dei trasporti Cityrailways. Va poi tracciato con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, nonché con le istituzioni europee, un piano aggiornato sui cantieri del metrò, assicurando lo sblocco dei finanziamenti. Infine, va data un’anima al PUMS, approfondendone con la città gli aspetti più controversi, ad esempio ripensando la creazione di un sistema Bus Rapid Transit (BRT) nell’area orientale di Napoli, che andrebbe ad aggiungere un’ennesima modalità di trasporto in una città che già ne presenta molti e difformi fra loro.

La vera partita di questi ultimi due anni di sindacatura de Magistris si identifica con la domanda: quale sarà il suo lascito? Ebbene, la città ha un disperato bisogno di una visione di futuro, ed anche su questo – oltre che sulla quotidianità – saranno chiamati a rispondere gli “eredi” del Sindaco arancione. La mobilità è uno straordinario vettore di miglioramento della qualità della vita: è il bene comune (definizione tanto abusata negli ultimi anni) per eccellenza, l’ultimo strumento di democrazia tangibile e di coesione sociale. Il lavoro di tanti tecnici prestati alla politica, a partire da Calabrese e passando per i dirigenti di ANM, è stato attuato. A chi c’è ora il compito di massimizzarne i frutti. Anche per questa cruna dell’ago passa il filo della politica cittadina: è tempo che questa, tutta unita, alzi la testa, restituendo una città migliore, premiando così la pazienza dei napoletani.

 

(Articolo pubblicato per conto della testata giornalistica QdN – Qualcosa di Napoli e disponibile al seguente LINK)

Rispondi