Lunedì 8 luglio 2019 si è conclusa la mesa in onda italiana di una miniserie in 5 puntate, Chernobyl, considerata da più parti un evento. Avevano ragione: ci sono film, o serie TV, che hanno poco a che fare col cinema in senso esteso, ma sono paragonabili ad opere religiose o civili.
In questo caso, Chernobyl, che è di una bellezza a tratti commovente, non racconta di un disastro nucleare. Bensì, narra dell’enorme dignità civica che deriva dalla competenza (per chi l’ha vista, non importa se tu sia pompiere, minatore, o tecnico nucleare) e dall’eroismo quotidiano del fare il proprio dovere (anche spietato alle volte) per il benessere collettivo di tutti.
Di contraltare, è anche un enorme atto di accusa all’improvvisazione, ed al pensare che la verità (in questo caso, quella scientifica) possa piegarsi alle bugie ed alla visione della realtà di certi politici, senza che vi sia un bilanciamento fra realtà e narrazione della stessa.
Per quanto non di grande impatto visivo, la scena forse più significativa è quando una scienziata di Minsk rileva altissimi tassi di radioattività nell’aria della capitale bielorussa, nonostante sia a 450 km da Chernobyl. Pur non avendo informazioni (nelle prime ore successive al disastro, la propaganda del Governo bloccò qualunque notizia), capisce subito che qualcosa di tragico è avvenuto.
Allarmata, si reca dal capo locale dell’allora Partito Comunista Sovietico chiedendo di intervenire per salvaguardare la popolazione. Lui, che ha ricevuto la presunta “versione ufficiale” dell’incidente di Chernobyl, si rifiuta di credere alle argomentazioni esposte.
“Mi perdoni”, evidenzia la donna, “ma io sono un fisico nucleare. Lei prima di diventare capo locale del partito lavorava in una fabbrica di scarpe“.
“E’ vero”, replica lui, mentre è intento a versarsi della vodka, “prima lavoravo in una fabbrica di scarpe. Ora sono a capo della sezione di Minsk”.
Alza il bicchiere, la fissa ed esclama: “Brindo a tutti i lavoratori del mondo”. Nella foto, il momento del macabro brindisi.
Gli stessi lavoratori che, a decine di migliaia secondo alcune stime, moriranno in seguito alle radiazioni assorbite a ridosso dell’incidente o negli anni a venire, durante le operazioni di bonifica dell’area, tutt’ora abbandonata. Un cupo monumento di centinaia di km quadrati all’incompetenza, ed alla arroganza che da questa deriva.