Da Napoli al Giappone: intervista a Maurizio Manfellotto, AD di Hitachi Rail Italy

Il suo sogno erano le barche, da ingegnere navale. Invece, Maurizio Manfellotto, 64 anni, amministratore delegato di Hitachi Rail Italy, un tempo AnsaldoBreda, da tre decadi si occupa di treni, rifornendo le metropolitane e le ferrovie di mezzo mondo, da Miami a Taipei, passano per il mercato europeo, ma sempre partendo dal quartier generale di via Argine 425, nel cuore di Napoli Est.

Hitachi Rail Italy è una costola della Hitachi Ltd, società giapponese fondata nel 1910, con oltre 336.000 dipendenti ed un fatturato di 9 miliardi di Yen. Nel novembre 2015, a seguito della decisione di Finmeccanica di dismettere il ramo di produzione di materiale rotabile, Hitachi rileva AnsaldoBreda, con il relativo portafoglio di ordini.

Maurizio Manfellotto davanti al mock-up dell’ETR 400, noto come Frecciarossa 1000

L’operazione, avvenuta per 30 milioni di Euro, pone sotto il controllo del gruppo giapponese gli stabilimenti di Napoli, Pistoia e Reggio Calabria, con 1.930 dipendenti. Nasce così Hitachi Rail Italy, che continua a vincere gare prestigiose, come la realizzazione del Frecciarossa 1000 per Trenitalia, o quella per i nuovi treni regionali Rock, una commessa da 3 miliardi di Euro. Dalle porte di Napoli, dunque, parte una storia di successo, che affonda le radici nel passato industriale della città, come ci racconta l’ing. Manfellotto.

Grazie per averci ricevuto, Ingegnere. Sappiamo che le giornate di un amministratore delegato sono sempre impegnative.

Ci mancherebbe. La comunicazione è una cosa importante, a maggior ragione in Italia, dove è abitudine occuparsi delle questioni, o delle realtà produttive, solo in caso di crisi e di tragedie, perché fanno notizia. Se invece si lavora, e si lavora bene, non ne parla nessuno.

A differenza della televisione, dove spesso si insegue l’immediatezza della notizia, internet può offrire “luoghi virtuali” dove trovano spazio storie positive, ed analisi più approfondite. E’ un po’ questo lo spirito di questa testata.

E’ un bello spirito, bisogna dare spazio alle buone notizie, ma soprattutto prendersi il tempo di analizzare i fenomeni, ragionare su di essi, anche su quelli negativi, ma sempre in chiave costruttiva. Ad esempio, il 12 luglio 2016, in Puglia, sulla linea ferroviaria concessa Andria-Corato, vi è stato un incidente terribile: due treni, scontrandosi, hanno causato 23 morti. Se n’è parlato per alcuni giorni, poi più nulla. Eppure, ve ne sarebbe da dire.

Tutti ricordiamo quelle terribili immagini, con due treni squarciati, circondati dai tipici ulivi pugliesi. A quanto pare, fu tutto causato da un errore umano, che però si innestava su un sistema di segnalamento obsoleto: il tallone d’Achille di moltissime ferrovie non gestite da Rete Ferroviaria Italiana (RFI, società del gruppo FS, ndr). Una situazione che riguarda anche molte delle linee campane dell’EAV, come Cumana e Circumflegrea.

Le linee concesse scontano un ritardo enorme, e questo è cosa nota. Le racconto un episodio: nel 2005 ero in forze ad Ansaldo STS, società che si occupa di sistemi di segnalamento ferroviario. Il 5 maggio di quell’anno, invitai tutti gli amministratori di ferrovie concesse in Italia a visitare la linea Merano-Malles, una piccola linea regionale di 60 km in Alto Adige. La ferrovia, appena ristrutturata, era stata dotata del Sistema Controllo Marcia Treno (SCMT) che garantisce la piena sicurezza. Se chi guida il treno, ad esempio, muore improvvisamente, o viene aggredito, o più in generale non è in sé, il treno si ferma. Dunque, da quel giorno di ormai dodici anni fa, gli amministratori delle ferrovie regionali, ammesso che non lo sapessero prima, sono venuti a conoscenza di un sistema per far viaggiare in piena sicurezza i treni. La domanda, dunque, resta: cosa si è fatto dopo l’incidente pugliese per garantire la sicurezza sulle ferrovie concesse?

Come ha ricordato, lei è stato tanti anni in Ansaldo STS, azienda leader del segnalamento ferroviario. Da esperto del settore, quale può essere una proposta per una soluzione da lanciare qui, ora, dalle pagine virtuali di questo giornale?

A partire dal 2003, con un unico processo nazionale, si è cominciato ad installare il sistema SCMT sulle linee di competenza RFI. In pochi anni, più di 10.000 km sono stati attrezzati con questo sistema. Si è così passati da un valore di 25 passaggi con segnale a via impedita (SPAD) a zero. Significa che prima, per un motivo o per un altro, ogni anno 25 convogli passavano “col rosso”, causando, o rischiando di causare, incidenti. Queste “sviste”, su quelle linee, si sono annullate. Dunque, sarebbe auspicabile avere un simile upgrade tecnologico anche su tutte le ferrovie regionali, però in blocco: bisogna evitare di fare tante gare quante sono le società di trasporto che gestiscono linee in concessione. La sicurezza dei viaggiatori non può dipendere dalle decisioni delle singole aziende, dalla loro disponibilità economica, o dalla loro capacità di seguire progetti del genere. Dunque, è necessaria un’unica azione nazionale, con criteri unitari, come fu fatto nel 2003.

Veniamo alla sua azienda, Hitachi Rail Italy, un tempo azienda di Stato col nome di AnsaldoBreda. Rappresenta ora una storia di successo, ma avete vissuto momenti difficili. Quanto è stato importante il ruolo dei giapponesi nel salvataggio dell’azienda?

E’ bene puntualizzare che AnsaldoBreda era già stata risanata all’atto dell’acquisizione, nel 2015, da parte di Hitachi. Quando sono arrivato a via Argine, la situazione era molto pesante. Talmente pesante che fui chiamato a colloquio con un importante ministro del governo dell’epoca. Mi disse che, dalla sua esperienza di uomo d’azienda, l’unico modo per salvare Ansaldo era chiudere due siti produttivi, Reggio Calabria e Carini, in provincia di Palermo, che all’epoca era ancora sotto il nostro controllo. Io annuisco, mi mostro d’accordo, esco dalla stanza e faccio esattamente l’opposto. Abbiamo lavorato, razionalizzato, rimesso in carreggiata una grande realtà produttiva, senza licenziare nessuno. I giapponesi si erano già affacciati in Italia nel 2012 per acquisire AnsaldoBreda, ma avevano trovato un disastro. A risanamento avvenuto, li feci richiamare. Tornarono, videro i risultati, e cambiarono idea, cominciando la trattativa di acquisto, che è durata ben due anni.

Dunque, uno sforzo italiano, che solo successivamente diventa un’operazione di acquisizione straniera. Tuttavia, in tempi di globalizzazione, delocalizzazione dei siti industriali, licenziamenti di massa, vi era molto timore attorno quest’operazione.

Quando le cose funzionano, non vi è motivo di cambiarle. L’azienda, del resto, aveva professionalità e commesse. La nuova proprietà è stata talmente contenta del lavoro che ha trovato da confermare in blocco il management – me compreso. Un segnale molto bello, soprattutto in tempi, come da lei sottolineato, difficili come questi. L’unica cosa che è cambiata è stata l’atteggiamento di banche e fornitori: appena siamo passati sotto la gestione di un solido gruppo straniero, sono tutti diventati molto più disponibili ad aprire linee di credito.

In questo momento di passaggio dall’alveo dello Stato a realtà aziendale straniera, qual è stato il momento emozionalmente più difficile?

L’atto di sigla dell’accordo. In quel frangente, ho chiuso la storia di due grandi imprenditori italiani: Giovanni Ansaldo, che fondò la Ansaldo a Genova nel 1854, ed Ernesto Breda, la cui Società per Costruzioni Meccaniche aprì i battenti nel 1866 a Milano. AnsaldoBreda era la somma di queste due aziende. Con un semplice tratto di penna, ho cancellato 150 anni di storia nazionale. Tuttavia, lo rifarei. Avevo compreso che era il momento giusto per affrontare questo passaggio, e che avevamo di fronte un interlocutore serio. Era quindi la scelta migliore per onorare una lunga tradizione industriale, ed in tal senso i risultati attuali parlano da soli.

Com’è mutata la realtà dell’azienda, ora che è sotto controllo straniero?

La presenza giapponese è molto discreta. All’interno di Hitachi Rail Italy abbiamo pochissimo personale nipponico: non sono dei controllori, né hanno incarichi di comando o deleghe, bensì sono le persone giuste per interagire e capirsi sulle questioni più complicate, fungendo da “collegamento” con la casa madre. Lei poi deve considerare che nel gruppo Hitachi convivono principalmente tre grandi esperienze culturali ed aziendaliste: quella giapponese, quella italiana e quella inglese, i paesi in cui vi è una maggior presenza del gruppo. Faccio parte di un board internazionale, dove, assieme ad Alistair Dormer, amministratore delegato a livello mondiale del segmento “Rail”, siedono i responsabili delle diverse controllate. Pur nelle inevitabili differenze culturali, le relazioni fra noi sono molto buone, e la fiducia reciproca è solida. Una dimostrazione di ciò è la visita di qualche giorno fa a via Argine di Toshiaki Higashiara, CEO di Hitachi Ltd., e di Hiroaki Nakanishi, Chairman del board di Hitachi Ltd., i quali si sono fermati per ben due giorni, e sono tornati in Giappone entusiasti.

Un altro caso in Campania di acquisizione straniera nel campo ferroviario è quello della Firema, storica azienda con uno stabilimento a Caserta, acquisita nel 2015 da una cordata composta al 90% dalla società indiana Titagarth Wagons ed al 10% dalla napoletana Adler Plastic. Cosa pensa di quest’operazione?

Quando Firema era in crisi, negli anni di amministrazione controllata, l’abbiamo aiutata a garantire i livelli occupazionali ed a non disperdere le competenze. Molte aziende vivono sulle rovine degli altri: noi non abbiamo ragionato così. Ora, è nelle mani di investitori molto ambiziosi, che hanno davanti un compito sfidante, poiché Firema esce comunque danneggiata dagli anni difficili che ha vissuto. Io ho impiegato molto tempo a ricostruire AnsaldoBreda, quindi so bene cosa significhi quest’impresa. A loro dunque deve essere riconosciuto il grande merito di aver creduto ed investito in questa realtà.

Altra dimostrazione del positivo stato di salute della sua azienda è stata lo scorso venerdì 20 gennaio, quando, nello stabilimento di Pistoia, ha avuto luogo la cerimonia per la prima saldatura del Rock, il nuovo treno concepito per il trasporto regionale. Una gara enorme, bandita dalle Ferrovie dello Stato, per circa 3 miliardi.

Stiamo parlando della gara più grande mai bandita dalle Ferrovie, che abbiamo vinto noi, contro avversari del calibro di Alstom, Siemens e Bombardier. Il Rock, treno regionale doppiopiano, rappresenterà, senza mezzi termini, una rivoluzione. Finestrini più ampi per maggiore luce, una diversa conformazione degli interni e della parte tecnologica per avere più spazio: miriamo a fare del Rock il nuovo standard di riferimento del settore. E’ possibile perfino dedicare una carrozza a sala giochi per i bimbi, una specie di asilo in movimento, come si può destinare spazio alle attrezzature da sci o alle bici: tutto è configurabile in base alle esigenze del cliente. Non è un caso che importanti ferrovie europee siano molto interessate al progetto, ed abbiamo già partecipato ad una gara in Israele, di cui aspettiamo l’esito. L’idea alla base è cambiare il modo di viaggiare a livello regionale: quel che è stato fatto sulle linee ad alta velocità con il Frecciarossa 1000 in termini di confort, sicurezza, servizi, è lo schema che vogliamo applicare al trasporto locale.

Effettivamente, ogni anno il rapporto Pendolaria di Legambiente ci ricorda come il trasporto pubblico locale, quello ferroviario in particolare, sia il grande malato d’Italia.

C’è da evidenziare un particolare, che nel dibattito pubblico alle volte sfugge: le aziende ferroviarie come Trenitalia fanno quello che chiede il cliente, in questo caso le regioni. Se lo fanno bene o male, se ne può discutere. Tuttavia, se sul contratto di servizio stipulato fra un’istituzione e l’azienda si richiede un treno ogni tot minuti su una tale direttiva, quel servizio deve essere erogato. Questo per dire che alla base di tutto vi è una scelta politica, una visione di trasporto e di società, nella quale si può scegliere se investire o meno. Ovviamente, se non si investe, se non si pianifica politicamente, i risultati sono poi quelli che abbiamo visto fino ad oggi.

Dunque, come se ne esce?

I passeggeri apprezzano un servizio di trasporto, un qualunque servizio di trasporto, se questo è puntuale e frequente. Guardiamo invece alla situazione attuale: sulle linee regionali vi è un servizio insufficiente, erogato con treni sporchi ed obsoleti, che sono soggetti più spesso a guasti, e dunque comportano “buchi” nel servizio, corse saltate, attese che si prolungano. Se invece fai passare un messaggio di efficienza, con corse puntuali e frequenti, magari erogate anche con treni più piccoli, la gente si fidelizza, perché non è vero che si preferisce il trasporto individuale: quando possono, gli utenti lasciano a casa l’auto, e preferiscono il treno.

Con una gara da quasi 3 miliardi solo per i treni regionali, ci si auspica che la tendenza si inverta. Lo schema che Trenitalia ha in mente, congiuntamente al Rock, risponderà a questa esigenza?

Prima ancora del Rock, ci tengo a ricordare che di recente abbiamo consegnato a Trenitalia ben 700 carrozze bipiano, le cosiddette “Vivalto”. A queste, si sommeranno i posti che i nuovi 300 treni Rock renderanno disponibili. Facciamo un rapido calcolo: se ipotizziamo che ogni nuovo convoglio, composto da cinque carrozze, può portare 650 passeggeri, abbiamo circa 180.000 posti in più. Ipotizzando che ogni treno faccia almeno quattro corse al giorno (un numero esiguo, ma è un esempio per rendere l’idea), arriviamo a 780.000 posti/giorno: una cifra enorme, che apre a tantissime possibilità. Quello che ho notato è che dove miglioriamo, l’utenza rapidamente si abitua a standard più alti, prendendo di più il treno, e chiedendo servizi sempre migliori. E’ un buon segno, significa che c’è “fame” di mobilità su ferro. Questo comporta obiettivi sfidanti, che ci spingono a migliorare, tutti.

Per un treno che cambierà il trasporto regionale in tutta Italia, vi è uno che ha fatto dannare l’EAV: il Metrostar in forza dal 2008 sulle linee della Circumvesuviana.

Vada su internet e cerchi “metro Fortaleza”, in Brasile: vedrà che lì, dove nel 2009 abbiamo vinto una commessa per la fornitura di treni proprio con i Metrostar, nessuno si lamenta della loro qualità. Il veicolo è lo stesso, possibile che vada bene in un luogo, ed in un altro diventa inefficiente? Non è che forse non dipende dal treno, ma da chi lo gestisce? In ogni caso, è bastato prendere in mano per qualche mese la manutenzione dei Metrostar campani per rimetterli in carreggiata. Del resto, la nostra squadra napoletana è ottima: mica differenziamo il personale in base alle commesse ed alla geografia…

Ci mancherebbe. Questo ci porta a parlare del capitale umano. Da ex azienda di Stato, negli anni addietro vi saranno stati probabilmente meccanismi di assunzione diciamo poco rigorosi. Che situazione ha trovato da questo punto di vista?

Appena sono arrivato, ho diminuito i dirigenti da 60 a 25, e tagliato 30 consulenze esterne su 30. Quindi, possiamo dire che ho cominciato dalla testa. Poi, io non credo che il destino delle persone, e le loro qualità, siano immutabili: i dipendenti vanno addestrati, guidati, va trasmessa loro un’idea di azienda. Se si mostra di saper fare le cose, se si trasmettono serietà e rigore, la gente ti segue. L’ultimo questionario anonimo sulla qualità del lavoro all’interno dell’azienda, svolto pochi mesi fa, ha riportato che l’85% dei dipendenti è fiera di appartenere a questa realtà, e che suggerirebbero ad altre persone di venire a lavorare qui. Quattro anni fa non era così.

Ritorniamo sul materiale rotabile. Avete da poco consegnato il nuovo treno della metropolitana di Genova, che dovrebbe essere il convoglio “gemello” da impiegare sulla Linea 6 di Napoli, quando questa sarà completata nel 2019. Che novità ci sono su quel fronte?

Le metropolitane di Genova e Napoli hanno una storia lunga e travagliata, che si perde indietro nel tempo, in un orizzonte di ormai trenta, quarant’anni. In questo quadro, la questione dei nuovi treni della Linea 6 viene riproposta ciclicamente. Tuttavia, non succede nulla. Tenga conto che, ad occhio, servirebbero almeno 15 treni su Linea 6 per garantire un servizio decente. Dunque, credo che serva una fornitura di almeno 10 treni. Se me li ordinassero domani mattina, per il 2019 non sarei in grado di consegnare le vetture richieste. Queste cose, infatti, vanno programmate con largo anticipo. Se al momento dell’apertura della linea nella sua interezza non vi sarà un parco rotabili adeguato, si potrebbe riproporre quel che avvenne con l’apertura di Garibaldi sulla Linea 1 nel 2013: treni affollatissimi, corse saltate, servizio a singhiozzo. 

A proposito di Linea 1: si è da poco conclusa la gara per i nuovi treni, vinta dalla spagnola CAF, che però è bloccata da un ricorso dell’azienda arrivata seconda.

Un classico italiano. In ogni caso, a questa gara non abbiamo proprio partecipato.

Come mai?

Nelle specifiche del bando di gara ci si è richiamati ad altre esperienze di reti metropolitane, che non erano in linea con il nostro catalogo di prodotti. Questo nonostante siamo i leader del settore della produzione di treni metropolitani, visto che riforniamo città come Milano, Brescia, Roma, Miami, Salonicco, Copenaghen, Lima, Madrid, Los Angeles, Riyad, Fortaleza, Taipei… perfino Honululu. In ogni caso, essendo le specifiche richieste per la metropolitana di Napoli diverse, abbiamo desistito.

Lei ha citato Roma, che servite con i treni della Linea C: cosa pensa del progetto?

La Linea C è una metropolitana pesante driverless, cioè su cui circolano convogli senza pilota. Noi siamo i leader del settore su questo segmento di mercato. A mio avviso è un ottimo investimento per la città, ma andrebbe continuato. Non ha senso fermarlo ora. Parlo da cittadino, avendo esaurito la commessa che avevamo con Roma e non avendo opzioni per eventuali nuovi treni.

Passando al piano politico nazionale, il Governo uscente ha molto creduto nel trasporto pubblico, ed in particolare su ferro. Un’azione, intrapresa da Matteo Renzi, che sembra continuare tutt’ora, non essendo cambiato il titolare del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Graziano Delrio.

Renzi ha molto creduto nei trasporti. Lo incontrai alla presentazione del Piano industriale delle Ferrovie dello Stato, che è molto ambizioso e ben fatto. Da Presidente ha visitato due dei nostri stabilimenti. Tuttavia, credo che sconti la difficoltà di portare avanti le decisioni. Una volta, intervenne al meeting degli industriali, a Santa Margherita Ligure, con un esempio: la differenza fra lui ed altri leader occidentali è che se questi decidono, poi premono un ideale bottone, e le loro indicazioni si realizzano, o perlomeno si mettono in moto, poiché sotto il “bottone” della scelta politica vi è un ingranaggio amministrativo e burocratico finalizzato a portare avanti le decisioni. In Italia, invece, se si “preme il bottone” non succede nulla, perché sotto non c’è niente, neanche il filo che lo collega ai meccanismi d’applicazione.

Torniamo a Napoli per la chiusura di questa lunga intervista. Quale pensa che sia il rapporto della città con l’azienda?

Napoli non vive questa società, non c’è un vero legame, a differenza di quel che avviene a Reggio Calabria o Pistoia. Lì, questa fabbrica è nel sangue delle persone. Questo si avverte dal non grande interesse della politica locale, a cui manca una visione strategica. Del resto, basta pensare alla dotazione infrastrutturale di Napoli e provincia, che consentirebbe di avere un servizio urbano e suburbano eccellente: l’ultimo, forse l’unico, che aveva questa proiezione è stato Ennio Cascetta. A Milano, prima dell’Expo, in vista della fornitura dei nuovi treni per la metro, incontravo l’ex sindaco Pisapia tutti i venerdì. Il sindaco di Firenze, Nardella, mi chiama spesso, visto che stanno espandendo la rete tranviaria. Sento anche frequentemente il sindaco di Pistoia. Qui, invece, non ho mai visto nessuno: certe figure non so neanche come si chiamino.

 

(Articolo pubblicato per conto della testata giornalistica QdN – Qualcosa di Napoli e disponibile al seguente LINK, nonché per la rivista Mobility Press Magazine, e disponibile al seguente LINK – pagine da 7 a 14)

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