Riforma dei porti, piano industriale delle Ferrovie, sicurezza e dignità dei trasporti. E poi, un piano nazionale per le metropolitane, che ne assicuri lo sviluppo, ed il Ponte sullo Stretto. Sono questi alcuni dei temi che Graziano Delrio, Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, ha toccato alla festa della Fondazione SUDD, di cui è stato ospite nei giorni scorsi.
Classe 1960, Delrio è stato Sindaco di Reggio Emilia per due mandati (2004-2013) e Presidente ANCI nel biennio 2011-2013, per poi approdare a Roma come Ministro per gli Affari Regionali nel Governo Letta. A febbraio 2014, Matteo Renzi lo vuole come Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, per poi affidargli il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT) nell’aprile 2015, per avviare un nuovo corso sulle opere pubbliche e i trasporti. Il primo giorno da Ministro, Delrio si presenta al MIT in bicicletta, un mezzo caro alla città per tanti anni da lui guidata. Un gesto che è più di una semplice azione, ma è bensì un manifesto programmatico di come intendere la politica applicata ai trasporti.
Infatti, in un anno e mezzo, il dicastero di Porta Pia cambia faccia: con il supporto della nuova Struttura Tecnica di Missione, affidata al prof. Ennio Cascetta, viene varato il Piano Strategico Nazionale della Portualità e della Logistica, una riforma del settore attesa da vent’anni. Poi, la sempre maggior attenzione alle ferrovie nazionali e locali, attraverso una poderosa “cura del ferro”. Proprio da un concetto caro ai cittadini campani, cominciamo la nostra intervista.
Ministro, a Napoli ed in Campania abbiamo avuto una felice stagione del trasporto pubblico, una “cura del ferro” che, grazie ad Antonio Bassolino ed Ennio Cascetta, per più di dieci anni è diventata programmazione amministrativa. Ora, grazie anche allo stesso Cascetta, che lavora con Lei al MIT, la “cura del ferro” sbarca a livello nazionale. Tuttavia, resta ancora molto da fare per completare il disegno della metropolitana regionale, ed in particolare quella napoletana, le linee 1 e 6. Lei stesso un anno fa inaugurò la stazione Municipio. Cosa si sta facendo per le reti metropolitane?
Da quando sono arrivato al MIT, con il professor Cascetta abbiamo operato un cambio della Struttura Tecnica di Missione, che, se prima si occupava principalmente di normative ed appalti, è ora diventata una sorta di “pensatoio” strategico, che collabora con le direzioni generali, in cui si cerca di immaginare e di pianificare lo sviluppo del Paese nel medio-lungo periodo. Infatti, abbiamo bisogno di fare dei grandi passi avanti, come per l’appunto la “cura del ferro”, affinché questa si concretizzi nelle città, le quali sono le vere opportunità di crescita di una nazione. Sono appena tornato da un viaggio in Giappone ed in Vietnam: Hanoi, capitale del Vietnam, fa 8 milioni di abitanti, come Ho Chi Minh City, la vecchia Saigon, che però raggiunge quota 10 milioni con l’area circostante. Tokyo, invece, con la sua area metropolitana, arriva a 38 milioni di abitanti. Appare chiaro come l’urbanizzazione sia un fenomeno mondiale, un’opportunità che, per essere colta, è essenziale sia supportata da un efficiente sistema di trasporti. Senza di questo, l’urbanizzazione da possibilità di sviluppo diventa un incubo. L’Italia, oltre alle vecchie leggi di finanziamento, non ha mai avuto una linea di investimento stabile per infrastrutturare le aree metropolitane. Quest’anno, per la prima volta, stiamo elaborando un piano nazionale delle linee metropolitane, affinché si possa dire con certezza che le linee metropolitane, come quelle di Napoli, hanno a disposizione i fondi per essere progettate e costruite. Si passa così da un regime di incertezza, in cui si procedeva per tratte da completare, senza sapere cosa sarebbe successo dopo al resto della linea, ad un quadro molto realistico, che si dipana su più anni, e soprattutto totalmente finanziato. Stabilito ciò, ora bisogna correre con la messa in opera, vigilando sui costi, perché non è possibile vi siano differenze enormi di costo/km fra una linea costruita a Milano ed una realizzata a Napoli, anche tenendo conto di eventuali ritrovamenti archeologici. E’ questa l’unica via affinché inizi una stagione nuova anche per il trasporto nelle aree metropolitane. Ora, insieme al piano, per le metropolitane abbiamo potuto mettere un fondo da 1,5 miliardi di risorse FSC, che permetterà di continuare e iniziare lavori. Quindi possiamo pensare ad uno sviluppo nazionale, non solo di alcune, poche, città metropolitane.
Pochi giorni fa, è stato presentato alla stazione di Roma Tiburtina il nuovo piano industriale delle Ferrovie, salutato come rivoluzionario.
Il piano industriale delle Ferrovie rappresenta effettivamente una svolta, in quanto è la prima volta che si presenta un piano decennale di investimenti, per circa 93 miliardi. Parliamo di un’azienda di Stato che fino a poco tempo fa doveva essere quotata, e doveva servire a far cassa. Invece, si è riusciti in primis a mantenere la rete pubblica, e da azienda che doveva privatizzarsi, FS è diventata un motore di sviluppo, con un piano industriale che ne consente il rilancio. Ora, si può finalmente parlare di alta velocità/alta capacità al Sud, con opere come la stazione di Afragola, i cui lavori erano fermi dal 2012, la linea Napoli-Bari e le linee siciliane. Il tutto muovendosi nell’alveo dei corridoi europei, ossia le reti transnazionali di trasporto (TEN-T).
Tuttavia, non c’è solo l’alta velocità…
Infatti. Obiettivo del piano industriale di FS è anche e soprattutto potenziare il trasporto regionale, perché se sull’alta velocità viaggiano 50 milioni di persone all’anno, le linee locali ne trasportano ben 600 milioni. Tutte le mattine, ci confrontiamo con le difficoltà di trasporto dei pendolari, delle persone che usano i treni per andare a lavorare, e trovano spesso materiale rotabile vetusto. Motivo per il quale nei prossimi anni puntiamo ad un rinnovo del 75% della flotta regionale: un primo bando di 4,5 miliardi di Euro è stato già aggiudicato lo scorso giugno. Oltre ai treni, vi sarà un investimento importantissimo sulle reti storiche, potenziandone la dotazione tecnologica. Sulle reti storiche ci sono 32 miliardi, più che le risorse per la rete AV, che sono 24 miliardi. Ciò comporterà più dignità, più capienza, più puntualità, ed anche più lavoro, perché, se si prospetta un piano decennale di immissione di nuovi vagoni e potenziamento delle linee, ciò si traduce in più posti di lavoro in imprese stanziali.
Un terzo punto del piano industriale delle Ferrovie è il rilancio del settore merci, con la creazione di una società ad hoc, Mercitalia.
L’indirizzo dei prossimi anni è spostare il 30% dell’attuale volume merci dalla gomma al ferro, attraverso le prime risorse fresche immesse in questo settore da ben dieci anni. In questo senso, dovrà esserci maggiore integrazione con i porti, sul modello che, in questo anno e mezzo di lavoro, abbiamo già applicato a Trieste, dove l’80% delle merci che ora transitano per il porto vanno direttamente dalle navi ai treni, comportando un abbattimento dei camion circolanti, e dunque dell’inquinamento. Ciò dimostra che il sistema mare-ferro funziona, e può funzionare dappertutto. Anche a Napoli, dove le Ferrovie stanno investendo molto sul progetto per il collegamento fra il porto e la rete ferroviaria nella zona di Traccia, che è necessario far decollare una volta per tutte. Abbiamo oggi la possibilità di fare dell’Italia il molo d’Europa, e di questo ne sono consapevoli anche i nostri vicini di casa, come gli svizzeri, che hanno investito ingenti risorse nel progetto “AlpTransit”, scavando gallerie ferroviarie come quelle del Gottardo, al fine di diminuire i transiti di camion. Tuttavia, per rendere efficienti le loro gallerie, serve che vi sia un collegamento rapido dai porti liguri, che possano arrivare a servire anche la Germania del sud. Inoltre, tutta l’Europa dell’est può essere servita da Trieste. E’ questo il senso dei corridoi europei. Dunque, anche in un momento non brillante per il commercio mondiale, abbiamo grandi potenzialità e possibilità di essere competitivi. Tuttavia, non si può fare questo senza una grande azienda nazionale che investe sulle merci, e sono sicuro che la nuova mentalità delle Ferrovie, da oggi più orientata verso questo settore, darà molto presto dei frutti concreti, proprio a partire da Mercitalia.
In questi mesi, a seguito dell’incidente ferroviario in Puglia dello scorso 12 luglio, è tornato al centro del dibattito il tema della sicurezza, e la differenza fra gli standard delle linee nazionali e quelli delle linee locali. Come si sta muovendo il Governo in tal senso?
Poche ore dopo la tragedia pugliese, mi sono recato sul posto, fra Corato ed Andria. Quella linea avrebbe già dovuto esser passata sotto la tutela della Agenzia Nazionale per la Sicurezza delle Ferrovie (ANSF). Ora, avendo sbloccato il decreto che le prevedeva, questo è diventato possibile. E’ chiaro che, per essere sotto la tutela dell’ANSF si devono rispettare degli standard, e per raggiungerli servono fondi che ora le regioni non hanno. Con la stagione del federalismo, gran parte della rete ferroviaria è passata a queste ultime. Si è creata così un’Italia a due velocità: sulle reti di competenza nazionale si è investito in termini di sicurezza. Invece, sulle reti di competenza regionale abbiamo spesso situazioni di maggiori difficoltà. Per gestire investimenti massicci come sono quelli in sicurezza, è utile poter fare massa critica avendo molte reti e molti investimenti in corso. Pertanto, credo sia giusto ipotizzare che tutta la rete ferroviaria italiana passi sotto la gestione di RFI, che ha la “potenza di fuoco” finanziaria per operare i necessari investimenti, ed unificare così gli standard di sicurezza. Solo nelle ultime due programmazioni finanziarie, RFI ha ricevuto 18 miliardi per operare in tal senso. Il federalismo funziona se ognuno ha la capacità di prendersi cura delle proprie competenze: per questo è necessario avere un’azienda che si schieri al fianco degli enti locali nell’aiutarli lì dove loro non ce la fanno nell’assicurare linee sicure e moderne.
Sicurezza, treni nuovi, maggiore attenzione al trasporto regionale e metropolitano. Emerge davvero un’attenzione nuova verso i viaggiatori, i pendolari.
Come ho detto al G7 dei trasporti in Giappone, che avremo l’onore di ospitare l’anno prossimo in Italia, il problema dei trasporti non è solo di efficienza: è sociale. Il trasporto pubblico rappresenta il diritto alla mobilità, il diritto allo sviluppo, il diritto di godere di un tempo adeguato per sé stessi. Rappresenta i diritti civili, come ci insegna la storia di Rosa Parks, che nel 1955, in pieno apartheid, si rifiutò di cedere il posto ad un bianco su un bus nello stato americano dell’Alabama. Anche da quel piccolo gesto, nacque il movimento di protesta per i diritti civili che portò all’abolizione della segregazione razziale negli Stati Uniti. Quel viaggio è il simbolo degli uguali diritti per tutti. In una parola, il trasporto pubblico rappresenta una forma di democrazia. Per questo è importante assicurare un viaggio sicuro e dignitoso a tutti i passeggeri, non solo quelli delle Frecce, ma anche ai pendolari dei treni regionali.
Ritornando a temi più tecnici, si diceva della rinnovata attenzione verso le merci, ed alla necessaria integrazione con i porti, che sono attualmente al centro di un processo di riforma atteso da vent’anni. Una legge molto seguita, molto attesa, molto dibattuta. In particolare a Napoli, dove si attende, ormai da anni, la nomina di un Presidente e la fine del commissariamento. Ormai la riforma è realtà, manca però il nome per lo scalo partenopeo.
I porti sono sotto la responsabilità del Governo, quindi spetta al MIT l’onere della proposta di un nome. Ho di recente parlato con il Governatore De Luca, che condivide la mia impostazione, ossia la ricerca di un nome di grande professionalità. In questo senso, le prime tre nomine che abbiamo fatto (Ancona, Taranto e Trieste) sono tecnici di alto profilo. Dunque, anche le altre verranno formulate in tal senso. A riprova di ciò, la riforma prevede un consiglio d’amministrazione a tre componenti, al pari degli scali più avanzati (come quello di Rotterdam), per permettere ai porti di prendere decisioni rapide e di essere aziende che producono ricchezza per il territorio. Farò dunque del mio meglio per dare coerenza al quadro appena delineato, ed assicurare tempi certi di attuazione della riforma.
Una caratteristica della riforma dei porti è una rinnovata centralità dei ministeri, grazie anche a rapporti più chiaramente definiti fra Stato e Regioni. Viene così alla mente uno dei passaggi fondamentali della riforma costituzionale, per la quale ci esprimeremo con il referendum del prossimo 4 dicembre. Si fa un gran parlare di tagli alla politica, meno sprechi… Tutte cose vere, ma da uomo delle istituzioni, forse il passaggio più importante è proprio questo: la fine delle competenze concorrenti e rapporti chiari Stato-Regioni.
Per noi il referendum è il frutto della cultura, e del rispetto, che abbiamo per l’autonomia. La Costituzione, nella sua prima ed essenziale parte, non viene cambiata. Al contempo, gli stessi padri costituenti ci hanno trasmesso come la seconda parte fosse stata frutto di una serie di compromessi. Ad esempio, il Senato doveva essere più rappresentativo delle regioni, ma non ci fu la forza politica per attuarlo. Del resto, l’articolo 5 recita che la Repubblica riconosce il valore delle autonomie, ma per realmente far ciò, abbiamo bisogno di una Camera preposta a questo scopo. La riforma da noi proposta dice essenzialmente questo. E’ bene dunque non confondere i piani: quando si è votato sul divorzio, sull’aborto, sul nucleare, si è votato sui temi, non sui partiti. Il referendum è sulla Costituzione, o meglio, sulla parte che ne garantisce il funzionamento. La prima parte della Carta contiene i diritti inviolabili, incancellabili ed immodificabili: un testo religioso nel senso etimologico del termine, poiché “religione” significa “ciò che unisce”, ed un Paese si tiene assieme attorno la sua Costituzione. Tuttavia, dobbiamo ragionare su come renderla più attuale, e più concreta, perché i diritti hanno bisogno di esplicazione. Ad esempio, i diritti degli enti locali di far sentir la loro voce oggi sono marginati alla sola Conferenza Stato-Regioni. Pertanto, passare da un bicameralismo perfetto, dove le Camere discutono dello stesso argomento, ad un sistema in cui c’è una Camera che rappresenta i vostri problemi, dando voce ai territori, è un passo in avanti. Non è un caso che sia così negli altri paesi. Dunque, ritorna il tema della semplificazione, della chiarezza dei compiti, della capacità di dare ritmo alle cose che facciamo. Un dato: su 260 provvedimenti di legge che sono stati fatti da quando è in carica questo Governo, solo 5 avrebbero richiesto un doppio passaggio Camera-Senato se vi fosse stato il Senato delle Regioni che immaginiamo. Pertanto, il prossimo 4 dicembre, voterò convintamente SI.
Chiudiamo con un argomento molto dibattuto, ormai quasi mitico: il Ponte sullo Stretto.
Sul Ponte non credo che dobbiamo seguire Berlusconi, che ha fatto di quest’opera un modello economico, teorizzando che le grandi opere, da sole, creino sviluppo. Non è così: crea molto più sviluppo realizzare un chilometro di ferrovia per collegare il porto di Napoli alla ferrovia che fare miliardi di Euro di viadotti. Attenzione, però. Oggi, per andare da Napoli a Palermo (713 km) ci vogliono 9 ore di treno. Da Napoli a Milano, invece, si coprono 770 km in 4 ore e 20 minuti. E’ evidente che non si può immaginare lo sviluppo di un territorio se non si ha un’adeguata infrastruttura, in particolare le connessioni ferroviarie veloci, perché la ferrovia rappresenta tutt’ora sviluppo. Dunque, dobbiamo immaginare una prospettiva di crescita del Meridione attraverso l’input dei corridoi europei, uno dei quali, quello Scandinavia-Mediterraneo, collega Napoli con Palermo, e prevede l’alta velocità ferroviaria. Il corridoio Napoli-Palermo è necessario al Paese, e da 9 ore possiamo coprire questa distanza in 5. A quel punto, il collegamento diventa competitivo: Calabria e Sicilia non sono più isolate. A quel punto, con i porti che hanno una loro ritrovata funzionalità, il Mezzogiorno ha un’ulteriore possibilità. In quest’ottica il ponte è una delle ipotesi che non può essere esclusa a priori ma su cui non si può nemmeno focalizzare l’attenzione: per noi, lo ribadisco, la necessità principale è quella di connettere il Sud Italia al resto del Paese. Ho già detto più volte che non è una priorità, tant’è vero che abbiamo stanziato i fondi per il dissesto idrogeologico per Messina, abbiamo fatto il patto per Reggio Calabria, abbiamo finanziato il ripristino della Palermo-Trapani, abbiamo finanziato la velocizzazione della Palermo-Agrigento, della Catania-Siracusa, e nel piano industriale di RFI/FSI dei prossimi dieci anni la gran parte delle risorse sarà sulle reti regionali. Perché questa è la nostra priorità: ridare dignità ai 600 milioni di passeggeri pendolari e di passeggeri regionali che ogni anno viaggiano sui nostri treni, insieme alla necessità di portare l’AV al Sud, che, ribadisco, rappresenta una grande opportunità di sviluppo. Dunque, se il dibattito isolato sul Ponte non ci interessa, resta il fatto che il Ponte rappresenta un pezzo fondamentale di questo corridoio europeo, soprattutto a livello ferroviario. Tuttavia, va contestualizzato: abbiamo già speso 32 miliardi per realizzare l’alta velocità Torino-Salerno, e ne spenderemo altrettanti per le tratte in progettazione/realizzazione. Se lo Stato dirà che l’opera è necessaria, si faranno i conti con i costi e con un progetto sostenibile. Al contempo, si deve partire dalla cura dell’esistente. Ad esempio, il MIT ha previsto, per i prossimi cinque anni, un miliardo di Euro per la manutenzione delle strade in Sicilia, che hanno visto casi eclatanti come i viadotti che sono crollati. Poi, dobbiamo pensare a completare i corridoi europei, ma è una missione di cui si deve far carico lo Stato, non società o privati, che poi farebbero pagare pedaggi esorbitanti a treni ed autovetture. Solo in questo contesto si può discutere se il Ponte è un’opera di rilevante interesse pubblico, nell’ambito di un corridoio europeo necessario al futuro di tutto il Mezzogiorno d’Italia.
Per ascoltare l’intervento del Ministro Graziano Delrio al dibattito “Infrastrutture e Mezzogiorno” presso la Festa della Fondazione SUDD, vi invitiamo a cliccare QUI.
(Articolo pubblicato per conto della testata giornalistica QdN – Qualcosa di Napoli e disponibile al seguente LINK, nonché per l’agenzia di informazione FerPress, disponibile al seguente LINK e per il settimanale Mobility Press Magazine, disponibile al seguente LINK)