Giovedì 15 settembre 2016 è una data storica per il mondo della portualità italiana. Infatti, entra finalmente in vigore la riforma di riordino del settore, attesa per più di vent’anni. Un iter lungo, che ha visto all’opera negli ultimi due anni il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, prima con l’approvazione del Piano Strategico Nazionale della Portualità e della Logistica, per poi, di concerto con il Ministero per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, elaborare la parte più delicata: quella di riordino delle Autorità Portuali.
E’ questo il cuore della riforma, che prevede l’accorpamento delle attuali 24 Autorità Portuali nelle nuove 15 Autorità di Sistema Portuali, come già accennammo su queste pagine nel luglio 2015. Fine ultimo di questa rivoluzione è consegnare al Paese, ed alla sua economia, un sistema portuale più logico, più integrato, meno frammentato e costoso, più rapido nei processi decisionali e burocratici. L’unico modo per contrastare la concorrenza dei porti nordafricani o spagnoli, che dispongono di infrastrutture più recenti e burocrazia ridotta all’osso, con costi di accesso agli operatori decisamente inferiori rispetto a quelli italiani.
Tuttavia, se nei discorsi pubblici è sempre risultata unanime la volontà politica di procedere sulla strada della riforma, nel chiuso delle stanze parlamentari la battaglia è stata aspra. Il cammino della riforma è stato fortemente osteggiato da interessi particolaristici dei singoli scali, contrari all’accorpamento. Una battaglia portata avanti dagli esponenti politici territoriali di riferimento. Per capire tutto ciò, basta evidenziare un dato: nella prima bozza della riforma (2014), era previsto che le nuove Autorità Portuali dovessero passare da 24 ad 8. Un anno dopo (2015), le nuove autorità “lievitano” a 13. Oggi (2016), da 24 si è passati a 15, e non è detto che sia finita qui.
Per un delicato gioco di pesi e contrappesi politici, la riforma appena entrata in vigore prevede la possibilità di derogare la sua stessa attivazione. Infatti, le regioni possono opporsi alla “fusione” di Autorità Portuali presenti sul loro territorio. Starà poi al Ministero delle Infrastrutture accettare o meno la richiesta, indicando anche eventuali tempi di deroga concessi, fino ad un massimo di 36 mesi. Per ora, le uniche due regioni ad aver inoltrato tale richiesta sono Sicilia e Campania, entrambe governate dal PD. In Sicilia, gli scali accorpati sarebbero stati quelli di Augusta, Catania, Palermo e Trapani, mentre in Campania quelli di Napoli, Castellammare e Salerno.
Non sfugge come di questi tempi, così volatili a livello politico ed economico, chiedere tre anni di proroga significhi nei fatti fermare ogni possibilità di cambiamento del sistema portuale. Ciò avrà inevitabili ripercussioni sullo sviluppo del Porto di Napoli, già piegato da più di quattro anni di commissariamento, e da vicissitudini infinite, fra cui la perdita, nel ciclo di programmazione europea 2007-2013, di preziosi fondi destinati ad importanti opere infrastrutturali.
Se, nonostante tutto, nei primi mesi del 2016 lo scalo napoletano ha fatto registrare buoni numeri a livello di movimentazione merci e passeggeri verso le isole, il 2017 si preannuncia difficile non solo a causa dei problemi atavici, ma anche per ciò che concerne un asset strategico come quello delle crociere. Infatti, per scelte aziendali non riconducibili alle condizioni dello scalo partenopeo, grandi aziende del settore hanno comunicato che diminuiranno gli scali a Napoli, volendo dare precedenza alle nuove rotte crocieristiche del Medio ed Estremo Oriente. Ciò comporterà mezzo milione di passeggeri in meno sui circa 1,2 milioni annuali, che non transiteranno più per la bella Stazione Marittima, opera di Cesare Bazzani del 1936.
Anche questa sfida si troverà ad affrontare il nuovo Presidente dell’Autorità Portuale di Napoli. Tuttavia, se dal Ministero delle Infrastrutture si era più volte indicata l’entrata in vigore della riforma come momento (finalmente) di nomina del nuovo Presidente, mettendo così fine al commissariamento, la richiesta di deroga da parte della Regione Campania getta nuovi dubbi su questo processo. Urge una certezza dei tempi e del processo decisionale, che assurdamente vede su due fronti contrapposti istituzioni dello stesso colore politico: regioni governate dal PD che osteggiano una riforma fortemente voluta dal Ministro Graziano Delrio, esponente di punta dello stesso Partito Democratico. Nel mentre, il Comune di Napoli osserva, e tace, nonostante la promessa del Sindaco De Magistris di dedicare un assessorato ad hoc proprio alla “risorsa mare”. Le acque agitate per lo scalo partenopeo, purtroppo, non sembrano destinate a rasserenarsi in tempi brevi.
(Articolo pubblicato per conto della testata giornalistica QdN – Qualcosa di Napoli e disponibile al seguente LINK)